Volontariato in carcere
L'esperienza della Dott.ssa Ortolani, in collaborazione con Associazione Papa Giovanni XXIII e Caritas diocesana
Gli ultimi anni della mia vita professionale come infettivologa in ospedale, mi hanno concesso l’opportunità di entrare come specialista all’interno della casa circondariale, con il compito di portare le competenze dell’unità operativa all’interno dell’infermeria del penitenziario e mantenere la continuità di cura dei pazienti cronici.
La relazione di cura diventava molto particolare nel momento in cui non si verificava il classico accesso ambulatoriale del paziente che chiedeva la prestazione, ma si doveva piuttosto indurre i pazienti ristretti ad accettare una presa in carico sanitaria.
Ho capito questo il giorno in cui l’allora direttore dell’area sanitaria mi chiese una consulenza per un ragazzo non affetto da alcuna patologia infettiva.
Alla mia richiesta di spiegazioni la risposta fu che almeno potevo ascoltarlo.
Si è aperta allora una porta verso un approccio diverso nei confronti di questa utenza così particolare, che mi ha portato a rivolgere la mia attenzione anche agli aspetti affettivi e umani delle persone che incontravo, e a curare un altro tipo di ferite o malattie profonde. Terminato il mio impegno professionale ho ottenuto il permesso di continuare il mio lavoro come volontaria. Grazie alla disponibilità dell’equipe sanitaria ora accedo all’infermeria senza agende prefissate in base alle mie disponibilità e accolgo le domande di incontro che mi sono inviate dalle persone detenute. In tal modo ho il tempo di continuare ad ascoltare i racconti di vite vissute in condizioni difficili, di accompagnare se necessario i percorsi di cura supportando l’accettazione dei trattamenti, spiegando i motivi della necessità di assumere certi farmaci, motivando alla cura di sé dove in precedenza c’era solo incuria e abbandono. Nel corso di vari anni di condivisione si sono evidenziate richieste inaspettate, come il supporto a qualcuno che non aveva mai imparato a leggere e scrivere, per cui ho improvvisato una alfabetizzazione di base nei locali della scuola dell’istituto. Le lezioni si svolgevano in ambiente disteso e conviviale tanto che ogni volta si aggiungevano nuovi allievi con risultati inaspettati. Ancora adesso alcuni di loro mi chiamano maestra… Ma non è finita. Nell’ottica di promuovere stili di vita più sani, sono iniziati incontri di gruppo a cadenza settimanale in una sezione dove le celle restano chiuse tutto il giorno, in modo da creare un diversivo e spezzare la routine. Si parla amichevolmente, si cerca di interrompere pensieri rancorosi, si getta un pensiero positivo aprendo un orizzonte più ampio. Partecipa con me un’altra volontaria, insegnante di professione. Nei progetti, vorremmo raccogliere esperienze scritte di chi ha voglia di raccontarsi, per spiegare “fuori” cosa significa la privazione della libertà, la vita in una dimensione incomprensibile se non la si vive e possibilmente attenuare i pregiudizi e favorire il reinserimento di chi ha scontato una pena.
Dott.ssa Patrizia Ortolani
U.O Malattie Infettive Ospedale Rimini